L’Acido lattico e prestazione

Molto spesso si sente parlare di acido lattico nei riguardi della prestazione nel ciclismo ad esso spesso viene data la causa del dolore muscolare durante l’esercizio, quindi dell’insorgere della fatica. Considerando che i meccanismi biochimici che sottendono la prestazione sono molteplici e non conosciuti del tutto sarebbe riduttivo considerare l’acido lattico un sottoprodotto dell’attività anaerobica dei muscoli: da questi esso normalmente si riversa nel sangue, attraverso il quale raggiunge cuore, fegato e muscoli inattivi, dove viene riconvertito in glucosio. Tuttavia, durante un esercizio fisico intenso e prolungato, può accadere che i muscoli producano nel tempo più acido lattico di quanto gli organi sopra detti ed i restanti muscoli inattivi riescano a metabolizzare; in questo caso, la concentrazione di acido lattico nel sangue aumenta fino al punto in cui non è più possibile che venga smaltito a livello dei muscoli attivi. Ecco che si presentano i noti effetti di affaticamento e successiva incapacità locale allo sforzo, talvolta accompagnati da bruciore. Ad ogni modo, per via del suo ciclo metabolico, una volta che i muscoli hanno ripreso la loro normale attività aerobica, e che il livello in circolo nel sangue è sceso sotto la soglia critica di concentrazione, l’acido lattico viene immediatamente eliminato dal circolo sanguigno (nel giro di qualche decina di secondi o di pochi minuti), e larga parte di quanto se n’era accumulato nei muscoli attivi viene rapidamente smaltito, tutt’al più entro due ore circa dall’attività fisica.Solo una piccola parte permane all’interno del muscolo, sempre a seguito di attività anaerobica, ed è nota come “scoria naturale della contrazione muscolare”.I sintomi da presenza di acido lattico, pertanto, in generale non sono assolutamente da confondere con quelli da indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata, meglio noto con l’acronimo anglosassone D.O.M.S. (Delayed Onset Muscle Soreness), i cui effetti colpiscono solo i muscoli scheletrici, e che solitamente si palesano tra le 12 e le 72 ore circa dallo sforzo fisico intenso, perdurando anche per 5-6 giorni consecutivi. Questo dolore è causato da microlacerazioni muscolari che originano processi infiammatori; inoltre vi è un incremento delle attività ematiche e linfatiche che aumentano la sensibilità nelle zone muscolari maggiormente sollecitate

Produzione

L’acido lattico appartiene prevalentemente al metabolismo del glucosio. E’ anche da tenere in considerazione in fatto che la concentrazione di glucosio libero cellulare è irrisoria, per cui la maggior parte di substrato glicidico è offerto dal glicogeno dal quale si ottiene tramite un meccanismo di glicogeno fosforilasi il glucosio1-fosfato. Questo entra successivamente nella glicolisi permettendo di ottenere 3 molecole di ATP e 2 di acido piruvico che si scinde in piruvato e ione H+. Tutto questo avviene nel citoplasma. Successivamente in base alle condizioni cellulari il piruvato può seguire la via aerobica o anaerobica. Nel primo caso interagisce con un complesso enzimatico situato nelle creste dei mitocondri (complesso piruvato deidrogenasi) che permette al piruvato di entrare nel mitocondrio ed essere ossidato per via aerobica (in presenza di ossigeno) producendo dalle 15 alle 18 molecole di ATP per ogni molecola di piruvato. Per via anaerobica invece interagisce con un complesso enzimatico situato nel citoplasma detto lattico deidrogenasi riducendosi ad acido lattico (lattato e ione H+); questo avviene per rigenerare un composto importante per far funzionare la glicolisi, il NAD+. Molteplici sono i fattori che permettono di attivare la glicolisi e la glicogenolisi (da glicogeno a glucosio1-fosfato), semplificando possiamo affermare che l’attivazione di queste catene metaboliche sia proporzionale all’intensità dell’esercizio fino a quando non subentra il meccanismo della fatica.

Accumulo

Semplificando solitamente si afferma che il lattato si accumula nel citoplasma quando la via aerobica (di cui fanno parte complesso della piruvato deidrogenasi, ciclo di Kerbs, catena di trasporto elettrono e fosforilazione ossidativa) situata nel mitocondrio non riesce a smaltire il piruvato prodotto; in questo modo il piruvato interagisce con la lattico deidrogenasi e si trasforma in lattato. Facendo un paragone si potrebbe paragonare il rubinetto di un lavandino alla glicolisi, lo scarico alla via aerobica e il lavandino al citoplasma; fino a quando lo scarico (via aerobica) riesce a svuotare l’acqua che esce dal rubinetto (piruvato), questa se ne va, ma quando il flusso del rubinetto sarà maggiore della portata dello scarico allora l’acqua (lattato) si accumulerà nel lavandino.
Smaltimento
La necessità dello smaltimento di questa molecola è subito chiarita; la presenza di lattato e ioni H+ derivati dalla scissione dell’acido lattico possono variare non di poco quella che è l’omeostasi cellulare e dell’organismo in quanto possono raggiungere valori fino a 15-25 volte superiori a quelli basali. Esso avviene grazie il meccanismo inverso della lattico deidrogenasi che permette di trasformare il lattato in piruvato permettendo poi a quest’ultimo di entrare nei mitocondri. Tutto questo chiaramente può avvenire in cellule che non hanno condizioni accumulo di lattato! Si verificherà quindi nelle cellule attigue (che non hanno accumulo di lattato) a quella dal quale è uscito oppure in organi particolarmente in grado di smaltirlo. Siccome il lattato esce dalla cellula grazie a dei trasportatori di membrana esso si riverserà immediatamente nel liquido interstiziale dal quale sarà captato dalle cellule muscolari non in situazione di accumulo (75% del lattato prodotto). La parte restante si riverserà nel sangue determinando il valore della lattacidemia (concentrazione di lattato nel sangue); da qui si deduce come la misurazione del lattato ematico sia in grado di definire parzialmente il livello di accumulo cellulare. Infatti mentre la produzione di acido lattico nella cellula è direttamente proporzionale all’intensità dell’esercizio, la lattacidemia ha un andamento esponenziale. Ciò è dovuto a: 1) gradiente di concentrazione del lattato che è scarso a bassi valori di Vo2 (consumo di ossigeno = intensità dell’esercizio) 2) scarsa attivazione dei trasportatori di membrana che fanno uscire il lattato a bassi valori di Vo2 3) dalla diluizione del lattato in 5 litri di sangue quando questo è prodotto in bassa quantità. Il lattato riversato nel sangue quindi sarà smaltito da altri muscoli oppure da fegato, cuore e reni; una piccola parte nel fegato verrà riconvertito in glucosio grazie alla neoglucogenesi. Tutti questi meccanismi determinano un’emivita (vita media di una molecola di lattato) del lattato di circa 15′.
Aumentare la tolleranza all’acido lattico
Gli atleti impegnati in discipline anaerobiche lattacide (durata dello sforzo tra i 30 ed i 200 secondi) sono costretti a gareggiare in condizioni di massima produzione ed accumulo di lattato. La loro prestazione è quindi correlata all’efficienza del metabolismo anaerobico lattacido e dei sistemi di smaltimento a livello ematico, muscolare ed epatico.Lo scopo degli allenamenti mirati all’incremento di tali caratteristiche è quello di saturare i muscoli di acido lattico in modo tale che si abituino a lavorare in condizioni di forte acidità. Contemporaneamente tale approccio migliora l’efficacia dei sistemi tampone ematici (bicarbonato) nel neutralizzare l’acidosi del sangue. L’atleta ha a disposizione due tecniche di allenamento per ottenere un miglioramento della prestazione anaerobica lattacida:una basata su sforzo continuo (20-25 minuti) a valori di Frequenza cardiaca prossimi alla Soglia anaerobica (± 2%) L’acido lattico viene smaltito nel giro di 2 o 3 ore, e la sua quantità si dimezza ogni 15-30 minuti a seconda dell’allenamento e della quantità di acido lattico prodotto. L’acido lattico rappresenta un forte stimolo per la secrezione di ormoni anabolici come il GH ed il testosterone. Per questo motivo esercizi con i pesi ad elevata intensità, intervallati da pause non troppo lunghe, massimizzano il guadagno di massa muscolare.Oltre al ciclo di Cori esiste un ulteriore sistema per smaltire l’acido lattico evitando che questo si accumuli nel muscolo. Si tratta del tamponamento ematico mediato dal bicarbonato .Il 65% dell’acido lattico prodotto viene convertito in anidride carbonica a acqua, il 20 % viene convertito in glicogeno, il 10% in proteine ed il 5% in glucosio

Effetti presunti sulla fatica

E’ subito da precisare che gli effetti negativi a seguito dell’accumulo di lattato non sono da imputare al lattato stesso, ma allo ione H+ che si libera dalla scissione di acido lattico in lattato e ione stesso. Esso andrebbe a modificare il Ph cellulare creando una situazione di acidosi, responsabile secondo molti autori come il fattore principale di fatica e di interruzione dell’esercizio fisico intenso e di breve durata, da 30 secondi a 5 minuti. L’acidosi metabolica andrebbe quindi ad inibire il rilascio di calcio dai reticoli rendendo + difficile la contrazione e diminuendo l’attività della PFK (enzima principale nella regolazione della glicolisi); inoltre lo ione H+ si lega ai siti di legame per il calcio con la TNC. E’ anche da tenere in considerazione che una concausa da non sottovalutare dell’acidosi muscolare è anche la produzione di ioni H+ a seguito della scissione di ATP in ADP e gruppo fosfato. Questo è quello che accade in vitro, ma in condizioni reali quindi molto più complesse è probabilmente diverso. Inoltre è stato visto che il tempo di ripristino del Ph è di circa 10′ mentre quello della fatica muscolare da esercizio intenso è di 2-3′ quindi temporalmente diverso. Questo indica come non si può ridurre il fenomeno della fatica all’equilibrio acido/base in quanto la contrazione muscolare è un fenomeno che tiene in considerazione anche di altri fenomeni metabolici e neuromuscolari.

Dicono che:

La velocità di risintesi dell’ATP dalla glicolisi è di 11.1 mM/l/min. mentre dal meccanismo AE è 2.5 mM/l/min. I grassi possono risintetizzare l’ATP ad una velocità di 1 mM/lmin come il glucosio proveniente dal sangue che è rilasciato dal fegato ad una velocità di 1.1 g/l/min. Solo la corsa può produrre concentrazioni di lattato sopra le 20 mmol (400m/800m/1500m).

Misure lattacidemiche

Essi si basano tutti sull’individuazione, secondo diverse metodiche, di un punto, o di una zona, della curva costruita con i valori di Acido Lattico ematico durante test a carichi crescenti, che possa essere riconosciuto in maniera obiettiva come il momento di passaggio tra il metabolismo aerobico e quello anaerobico.
Fondamentalmente questi metodi, i cui autori (in maggioranza tedeschi) non hanno ritenuto sufficientemente accettabile accontentarsi di un valore standard di Acido Lattico valido per tutti, cercano di trovare il valore individuale della SA. In effetti, con le procedure dirette sono stati trovati valori individuali estremamente variabili di AL, da 1.8 a 10 mM, corrispondenti alla definizione del “non accumulo”.
Alcuni autori considerano la SA il punto ove l’Acido Lattico aumenta oltre il valore di riposo, ossia il primo aumento evidenziabile. Jacobs sceglie come SA l’intensità corrispondente ad una concentrazione di Acido Lattico 1.5 mM superiore al valore più basso del grafico; poichè quest’ultimo è circa 1 mM la SA così individuata corrisponderebbe più a quella Aerobica di 2 mM (secondo Kindermann). Farrel individua la velocità di soglia in quella che determina una lattatemia superiore di 1 mM a quella determinata da velocità inferiori (1mM).Loderee e Ames considerano determinante il valore di 2.2 mM.
Altri autori hanno preso in considerazione il punto in cui la crescita dell’AL diventa di almeno 1 mM dopo aver cessato di essere lineare.Karlsson sostiene che il punto OBLA può essere inteso come quello di: un brusco incremento della lattatemia rispetto all’andamento dei valori a carichi sottomassimali (BP= Break Point); un incremento della lattatemia rispetto ad un valore standard (ad es. 2 mM) ritenuto indicativo della condizione basale; un valore standard prefissato (4 mM).Stegmann avendo constatato che un’intensità corrispondente alle 4 mM non poteva essere mantenuta per più di qualche minuto, parla di “SA Individuale”, individuata grazie anche ai valori, e quindi alla curva, dell’Acido Lattico ematico durante il recupero successivo all’esercizio. Secondo questo metodo la lattatemia è espressa in funzione del tempo dell’esercizio e del recupero passivo seguente (un recupero tramite esercizio leggero aumenterebbe l’ossidazione del lattato). Si esegue una prova di tipo incrementale fino all’esaurimento con aumenti di 50 watt ogni 3 min, a partire da 100 watt, al cicloergometro, di 0.5 m*s-1 ogni 3 min, a partire da 2.5 m*s-1, al treadmill inclinato del 5% (o 1.5%); i prelievi vengono effettuati alla fine di ogni carico ed al 1°, 3°, 5° e 10° min del recupero. Viene tracciata una parallela all’ascissa a partire dalla lattatemia raggiunta alla fine dell’esercizio; dal punto di intersezione di questa parallela con la curva del lattato relativa alla fase di recupero viene tracciata la tangente alla curva del lattato durante l’esercizio. Il punto di incontro della tangente con la curva è la SA individuale. La SA così individuata, dipendente quindi dalla velocità di smaltimento del lattato, si è dimostrata, nello studio di Stegmann, meglio capace di definire l’intensità massima che permette una concentrazione stabile di lattato nel sangue (maximal lactate steady state).